Aldo Iori


colui che osserva 


Punti di vista. L’uso della prospettiva, dagli sfondamenti di Giotto alle geometrie di Mondrian, ha abituato l’osservatore ad uno spazio virtualmente fisico, attraversabile e praticabile con lo sguardo e con la mente ma che possiede un ideale luogo privilegiato della visione. La rivelazione dell’immagine, spesso sostenuta da un forte e rassicurante pensiero umanista, incatena chi guarda a quel determinato punto di vista scelto dall’autore: in una sacra conversazione del Quattrocento come nel vortice di particolari di una pittura fiamminga o anche in un’astrazione realizzata con moderne tecnologie. Gli artisti nel tempo hanno cercato a volte di accentuare tutto questo inserendo un’ emblematica distanza tra l’oggetto della visione e colui che osserva: così in de Chirico, Bacon, Pistoletto, Richter e ancor prima in Friedrich, Vermeer o Pontormo. L’osservatore è esterno e diviene spettatore di meccanismi visivi che l’opera produce in se stessa ma che spazialmente non lo coinvolgono. Nello spazio espositivo a Düsseldorf l’artista italiano Stefano Bonacci definisce un’opera che pone quesiti sulla condizione stessa dell’osservare. Egli costruisce una sorta di ‘camera visiva’ nella quale degli oggetti sono offerti alla contemplazione che avviene attraverso un piccolo varco per gli occhi. Già nel 2002 a Spoleto Bonacci aveva realizzato una sorta di ‘postazione’ dalla quale si poteva osservare un’astrazione dello studiolo dell’artista: un tavolo, degli oggetti su di esso, una luce rossa e una proiezione di una figura geometrica sul muro sovrastante. Anche oggi l’osservatore è costretto in una strana condizione di voyeur: un solo punto di vista che non permette sguardi altrui. L’artista ancora una volta pone chi guarda nella condizione che lui ritiene ottimale e gli impedisce il non esserci, evita lo scarto laterale o la distrazione; costringe a osservare il proprio spazio, non più solo della visione ma soprattutto del pensiero. E l’osservatore è sempre di spalle.

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La luce nel buio. Nelle chiese gotiche la luce frange le tenebre e disegna le sacre storie sulle pareti o sui grandi pavimenti. Nel 1949 viene realizzato il primo ambiente spaziale da Lucio Fontana e qualche anno dopo nell’arte si inizia l’uso sistematico del neon o della luce artificiale nella pittura. Stefano Bonacci da qualche tempo si cimenta anche con elementi luminosi: barre di neon rosso che definiscono lati di poliedri, sulla facciata del Museo Pecci a Prato e in installazioni sonore a Perugia, o che illuminano l’ambiente della biblioteca di Cascia o una camera chiusa a Spoleto. Il buio non è solo la condizione della riflessione intima ma una densità, vicina al concetto di tenebra, nella quale tutto può essere possibile e la luce rossa in essa definisce le forme dell’apparizione voluta dal pensiero che sceglie come e cosa mostrare. Il rosso appartiene a una lunga tradizione e Bonacci lo usa per indicare un’appartenenza e per lenire la razionalità di una scelta. Nei testi che a volte accompagnano le sue opere egli parla del rosso come indicazione di un’intima drammaticità, quasi che questo colore dischiuda varchi verso dimensioni differenti dalla scientificità richiamata spesso nel suo lavoro. L’immagine non è onirica ma tangente ad una profonda dimensione subconscia collettiva. E l’osservatore è portatore di luce.

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L’uomo e il mondo. Nel 1961 Piero Manzoni realizza una base per il mondo scrivendo su di essa la titolazione rovesciata. Ci si accorge di essere di fronte al più grande ready made possibile. Solo con un semplice rovesciamento. Nello spazio di Parkhaus la figura umana campeggia nello spazio dell’esposizione. Una figura qualunque desunta dall’immagine di se stesso senza il desiderio autocelebrativo dell’autoritratto. Una sorta di annientamento della soggettività verso un’oggettività platonica. Un uomo che osserva. Egli è di spalle e lo sguardo dell’osservatore attraversa lo sguardo di colui che guarda generando una sorta di rispecchiamento di una condizione nell’altra. Gli occhi osservano colui che osserva e l’immagine risulta ruotata come se un’invisibile lente potesse generare nello spazio un rovesciamento simile a quello dell’immagine retinica. Ciò che si vede è ribaltato o è chi guarda che è in una condizione non idonea? La figura umana è posta come l’Appeso dei Tarocchi, carta indubbiamente positiva che indica cambiamento, rinnovamento e sprona a  guardare il mondo in maniera differente e propositiva: pensare il mondo alla rovescia. È la condizione abituale dell’arte che osserva il mondo sempre con un punto di vista differente. Al di là delle metafore o delle possibili allegorie l’opera non si presenta illustrativa né rappresentativa ma affermativa di una condizione dell’artista nella modernità. La drammaticità del rosso riconduce alla sua condizione di isolamento, dell’uno nel rapporto con il tutto. La fonte di luce è nascosta, resa misteriosa come se l’immagine umana stessa l’emanasse costantemente. E l’osservatore è comunque nell’ombra. 

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La natura e l’astrazione. Guardare alla rovescia, determinare una rotazione, scambiare il cielo con la terra. Del paesaggio non rimane che l’indicazione di un sopra e di un sotto: la linea luminosa che indica l’orizzonte che attraversa lo sguardo. L’artificio evidenzia il rapporto dell’artista con la natura. Nei lavori dei primi anni egli si accostava agli elementi naturali estrapolandoli dal loro contesto e rielaborandoli con materiali propri dell’esperienza dell’arte: pietre, rami d’albero, scale a pioli, semi si combinavano con cera d’api, ottone, piombo, pigmento, foglia d’oro. In seguito la natura diviene modello per proliferazioni geometriche. Similmente a particolari strutture di spore o diatomee o organismi marini le figure geometriche ruotano e si ribaltano nello spazio come in una nuova casistica proporzionale derivata da Luca Pacioli. La natura permane nel rapporto energetico tra materiali artificiali e naturali, secondo le loro proprietà, come nelle opere di Luciano Fabro,  o ci sollecita e solletica inedite corrispondenze, come in quelle di Renato Ranaldi. Il meccanismo della visione è naturale ma l’applicazione pone l’immagine ad un livello di astrazione inedito. E l’osservatore non è mai nel reale.

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La bellezza. Lo stupore dell’epifania dell’immagine non genera di per sé la bellezza. Il Barocco meno colto ne diede prova con ardite soluzioni che lasciano però indifferente la mente e la contemporaneità è altamente popolata di stupori che mostrano l’abisso dell’improvvisazione e della mancanza di un sostegno ideologico. Difficile è definire quali artifici possano far sbocciare il sorriso di Afrodite. La memoria può essere tra questi: non la citazione ma lo spessore di un’immagine che dona alla mente altre immagini, non solo visive, che ci conducono in spazialità rinnovate ove si genera altro pensiero e altro ancora. Nell’osservare l’opera di Stefano Bonacci risulta evidente la  presenza di una densa memoria che lo rende appartenente in modo  ineludibile e necessario alla cultura artistica italo-europea, I temi richiamati della prospettiva, del paesaggio, dei materiali, della natura, dell’umanesimo e infine della bellezza sono elementi determinanti per la sua volontà di tentare ancora una volta di ridefinire l’immagine di un antico pensiero del presente. E l’osservatore rimane in ascolto.



(testo critico di presentazione della mostra personale di Stefano Bonacci "colui che osserva"al Parkhaus a Düsseldorf, 2004
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Aldo Iori


der welcher beobachtet



Gesichtspunkte. Die Verwendung der Perspektive, von den Fluchten Giottos bis zu den Geometrien Mondrians, hat den Betrachter an einen scheinbar physischen Raum gewöhnt, einen idealen Ort der Vision, mit dem Blick und dem Geist zu betreten und zu durchqueren. Die Offenbarung des Bildes, oft von einem gefestigten und beruhigenden humanistischen Gedanken getragen, kettet den Betrachter an diesen vom Künstler gewählten Standpunkt: sei es in einer ´sacra conversazione` des 15. Jahrhunderts, im Strudel der Details eines flämischen Gemäldes oder in einer mit modernen Techniken realisierten Abstraktion. Die Maler haben zuweilen versucht das noch durch eine sinnbildliche Distanz zwischen dem Objekt der Betrachtung und dem Betrachter zu steigern: Wie bei de Chirico, Bacon, Pistoletto, Richter, und noch früher bei Friedrich, Vermeer oder Pontormo. Der Betrachter steht außen als Adressat von Sehmechanismen, die das Werk in sich erzeugt, ohne ihn räumlich einzubinden. 

Im düsseldorfer Austellungsraum fertigt der italienische Künstler Stefano Bonacci ein Werk, welches Fragen über die Bedingungen des Betrachtens aufwirft. Er konstruiert eine Art ´Sehraum` in dem einige Objekte der Anschauung geboten werden, die nur durch eine kleine Öffnung für die Augen stattfindet. Bereits 2002 in Spoleto hat er eine Art ´Stellung` realisiert, von der aus man eine Abstraktion seines Studierzimmers beobachten konnte: einen Tisch, darauf einige Gegenstände, rotes Licht und die Projektion einer geometrischen Figur an der Wand darüber. Auch diesmal wird der Beobachter in eine seltsame Lage des Voyeurs gezwungen: Ein einziger Ansichtspunkt, der keine fremden Blicke zulässt. Der Künstler versetzt ein weiteres mal den, der betrachtet, in den Zustand, welchen er für optimal hält, und er verwehrt ihm die Abwesenheit, er vermeidet den Rand und die Ablenkung; er zwingt genau diesen Raum zu beobachten, nicht mehr nur als einen des Sehens, sondern vor allem des Denkens. Und der Betrachter zeigt immer den Rücken.


Das Licht im Dunkel. In den gotischen Kirchen bricht das Licht die Schatten und zeichnet die heiligen Geschichten an die Wände oder die weiten Böden. 1949 realisiert Lucio Fontana das erste ´Ambiente Spaziale` und einige Jahre danach beginnt die Kunst systematisch Neon oder künstliches Licht in der Malerei zu verwenden. Seit einiger Zeit versucht Stefano Bonacci sich im Gebrauch von Lichtelementen: Neonrören, werden zu Kanten von Polyedern, an der Fassade des Museo Pecci in Prato und in Klanginstallationen in Perugia, ein anderes mal dienen sie als Beleuchtung einer Bibliothek in Cascia oder eines geschlossenen Zimmers in Spoleto. Die Dunkelheit ist nicht nur Zustand intimer Reflexion, sondern eine Dichte, nahe am Konzept der Finsternis, in der alles möglich ist. Das rote Licht in Ihr definiert die Formen der Erscheinung, wie sie ein Denken will, das auswählt, was zu zeigen ist und wie. Das Rot gehört zu einer langen Tradition und Bonacci verwendet es, eine Zugehörigkeit aufzuzeigen, und um die Rationalität einer Entscheidung zu lindern. In den Texten, die zuweilen seine Arbeiten begleiten, spricht er vom Rot als einen Hinweis auf eine intime Dramatik, fast als öffnete diese Farbe Durchgänge zu anderen Dimensionen als denen der Wissenschaftlichkeit, auf die sich seine Arbeiten oft berufen. Es ist kein Traumbild sondern es berührt eine tiefe Dimension des kollektiven Unterbewußten. Und der Betrachter ist der Bringer des Lichts.


Der Mensch und die Welt. 1961 realisiert Pero Manzoni einen Sockel für die Welt auf den er den Titel umgedreht anbringt. Man merkt, dass man sich vor dem größtmöglichen Readymade befindet. Nur durch ein einfaches, auf den Kopf Stellen. Im Parkhaus tritt die menschliche Figur im Ausstellungsraum hervor. Eine beliebige Figur, aus einem seiner Bilder entnommen, ohne die selbstverherrlichende Sehnsucht des Selbstportraits. Eine Art Auslöschung der Subjektivität für eine platonische Objektivität. Der Mensch, der beobachtet. Er kehrt uns den Rücken zu und der Blick des Betrachters durchquert den Blick dessen, der schaut, erzeugt eine Art Spiegelung des einen Zustands im Anderen. Die Augen beobachten den, der beobachtet,das Bild zeigt sich gedreht, als könnte eine unsichtbare Linse den Raum so auf den Kopf stellen wie die Projektion auf unserer Netzhaut. Ist das, was man sieht auf den Kopf gestellt oder ist der Betrachter in einem unpassenden Zustand? Die menschliche Figur erscheint wie die Tarotkarte des Gehängten; eine zweifellos positive Karte. Als Verweis auf Veränderung und Erneuerung treibt sie dazu an, die Welt auf eine andere, propositive Weise wahrzunehmen: sie auf den Kopf gestellt zu denken. Es ist die normale Bedingung der Kunst, welche die Welt immer von einem anderen Gesichtspunkt aus sieht. Jenseits der Metaphern und möglichen Allegorien gibt sich die Arbeit weder illustrativ noch repräsentativ sondern affermativ in einem Zustand des Künstlers in der Moderne. Die Dramatik des Rots verweist auf seine Isolation als Einzelner im Bezug auf das Ganze. Die Lichtquelle bleibt versteckt, rätzelhaft, als wäre es das Menschenbild selbst das strahlt. Und der Betrachter ist auf jeden Fall im Schatten.


Die Natur und die Abstraktion. Verkehrt betrachten, eine Drehung auslösen, Himmel und -Erde vertauschen. Von der Landschaft bleibt nichts als der Verweis nach einem Oben und Unten. Ein Lichtstreifen als Horizont durchquert den Blick. Der Kunstgriff legt den Bezug des Künstlers zur Natur offen. In den Arbeiten der ersten Jahre näherte er sich den natürlichen Elementen, indem er sie aus ihrem Kontext entfernte und mit den Techniken und Materialien der Kunst bearbeitete: Steine, Äste, Leitern, Samen verbanden sich mit Bienenwachs, Messing, Blei, Pigmenten, Blattgold. In der Folge wurde die Natur Modell für geometrische Wucherungen. Wie besondere Strukturen von Sporen, Kieselalgen oder Meeresorganismen, drehen sich diese geometrischen Figuren, entfalten sich im Raum, wie in einer neuen Kasuistik der Proportionen nach Luca Pacioli. Die Natur verbleibt in der Spannung zwischen natürlichen und künstlichen Materialien und deren Eigenschaften, wie in den Werken Luciano Fabros, oder sie regt uns und unverbrauchte Entsprechungen an, wie bei Renato Ranaldi. Der Mechanismus der Vision ist natülich, aber die Anwendung bringt das Werk auf ein unverbrauchtes Niveau der Abstraktion. Und der Betrachter ist nie im Wirklichen.


Die Schönheit. Das Staunen vor der Erscheinung des Bildes ezeugt nicht an und für sich Schönheit. Dafür gab das zweitrangige Barock Beispiele mit gewagten Lösungen, die den Geist und die Gegenwart jedoch unberührt lassen. Es ist übervölkert mit Blendwerk, das den Abgrund der Improvisation und der fehlenden ideologischen Stütze bezeugt. Welche Kunstgriffe das Lächeln der Aphrodite erblühen lassen ist schwer zu sagen. Erinnerung ist einer davon: nicht das Zitat aber die Dichte eines Bildes, welches dem Geist weitere Bilder schenkt, nicht nur sichtbare, die uns in eine erneuerte Räumlichkeit führen, wo sich weitere,immer weitere Gedanken bilden. Im Betrachten der Arbeit von Stefano Bonacci zeigt sich offensichtlich die Gegenwart einer gewichtigen Erinnerung, die ihn unbestreitbar der italienisch-europäischen Kunst zuordnet. Die aufgegriffenen Themen:Perspektive, Landschaft, Materialien, Natur, der Humanismus und schließlich die Schönheit sind die entscheidenden Elemente seines Willens, ein weiteres mal das Bild eines antiken Gedankens der Gegenwart zu definieren. Und der Betrachter bleibt auf Empfang.


(Zur Arbeit von Stefano Bonacci im Parkhaus Düsseldorf von Ende April bis zu den ersten Maitagen Zweitausendvier

der welcher beobachtet)