Gabriele Landi 

Intervista a Stefano Bonacci


Gabriele Landi: 

Credo che vi sia sempre un momento, un opera, un' idea nel lavoro di un artista, che possa essere assunto quale punto di partenza del suo operare. E' stato cosi anche per te? 


Stefano Bonacci - Io non sono partito da una idea ma da una necessità. La mia è stata ed è tutt'ora una lenta e sofferta presa di coscienza del mondo che mi circonda verificata continuamente attraverso le opere. Al principio è stato il disegno ad indicarmi la strada verso l'universo invisibile delle cose, un universo che è diventato lentamente onnicomprensivo, l'unica realtà per me possibile.  Sicuramente alcune opere che ho realizzato nel corso degli anni hanno segnato un cambiamento nel mio percorso artistico e possono anche essere lette come nuclei gravitazionali di una certa produzione, ma non riesco a vedere un prima e un dopo in questo percorso.  Sono come immerso continuamente in uno spazio senza tempo dal quale affiorano di volta in volta immagini appartenenti al passato, al presente e al futuro. E' una strana sensazione questa, non potrei descriverti meglio quello che provo quando realizzo un'opera.


GL - Hai parlato di spazio e tempo condensati, correggimi se sbaglio, una sorta di "ventre della creazione", il luogo dove operi: il recinto sacro del fare, come direbbe Pareyson. Ora ti chiedo: l'opera , una volta uscita dalla "fucina di Vulcano", come si relaziona con lo spazio, quale è il suo rapporto col tempo?


SB - Mentre il tempo, quello orizzontale dell'orologio, sembra scomparire di fronte all'opera, lo spazio si carica di senso e acquista una forma che prima non era visibile. Non è quindi l'opera a subire lo spazio ma lo spazio a dover subire l'opera.  In questa formula lo spazio si modifica in relazione all'intensità dell'opera e quando questa è carica di intensità il tempo cambia direzione spostando il suo asse dal piano orizzontale a quello verticale. Spazio e tempo subiscono quindi una distorsione grazie all'opera d'arte, infatti le opere antiche che sono oggi sotto i nostri occhi continuano a trasmettere, se pur in maniera molto sottile, una "energia" proveniente da uno spazio-tempo che non è il nostro e malgrado tutto esse vivono. Questa è la dimostrazione di come il tempo sia solo una illusione e lo spazio possa essere facilmente modificato dalla volontà dell'uomo.


GL - Come ti poni rispetto alla plurisecolare dialettica tra Forma e Materia?


SB - Questo è un problema che si affronta "facendo". Costruendo fisicamente l'opera si può capire come "forma e materia" siano intimamente legate tra loro. Alcune volte la materia ci costringe ad affrontare forme inaspettate  , altre volte è la nostra volontà ad appropriarsi della materia per produrre le forme da noi pensate  . Bisogna però conoscere molto bene la profonda natura della materia per dar vita all'opera, altrimenti ci si ritrova in mano un cadavere, tutt'altro che squisito.


GL - Qual'è il significato che attribuisci ai materiali che utilizzi?


SB - Posso dirti di essere spesso colpito dal colore dei materiali: l'oro dell'ottone  , i bruni del legno  , il rosso intenso del gas neon elettrizzato  , i grigi e i neri nella carta fotografica, diventano tutti colori che io inserisco nella mia tavolozza. Inoltre ogni materiale ha una sua energia. La luce che viene riflessa dai materiali arriva al nostro occhio stimolando i centri nervosi e innescando una reazione sottile che modifica il nostro stato d'animo. Per questo utilizzo di volta in volta materiali diversi a seconda dell'opera che devo realizzare.   I materiali non hanno un significato, non rappresentano altro da se, ma evidentemente possono evocare immagini. Questa complessità fatta di pensiero, energia e immagini da vita all'opera d'arte... ma io non ne conosco il segreto, posso solo intuirlo.


GL - A questo punto Stefano mi sembra utile entrare più a fondo nel lavoro, per questo ti vorrei chiedere di parlare di quel nuovo ciclo di opere che stai realizzando basandoti sulla composizione di oggetti che cerchi ed assembli fra loro. 


SB - Questo ciclo di opere di cui ti accennavo in una lettera di alcune settimane fa, non è mai nato o meglio mi sono sempre illuso che potesse nascere. Le opere mi sfuggono dalle mani quasi immediatamente dopo averle realizzate, prendono vita e mi impongono una sorta di distanza. Non riesco ad avvicinarle più se non dopo un certo periodo di tempo che mi permette di liberarmi dal rischio della caduta nello stile. Per me è di vitale importanza spostare sempre il punto di vista per intravedere nuove prospettive così come è importante che l'opera possa essere in grado di spostare il punto di vista dell'osservatore. Nel "Giardino Segreto" che ho realizzato a Spoleto, ho infatti costretto lo spettatore a spostare il proprio punto di vista, e non solo metaforicamente, costringendolo a guardare attraverso una feritoia orizzontale. Ora tu mi dirai che non voglio parlare direttamente dei miei lavori ed è proprio così. Il raccontare agli altri la storia di un'opera crea in me una sorta di disagio: il nostro lavoro si misura sempre nel momento della visione diretta e solo in questo momento le cose parlano di se nella maniera più chiara. In questo silenzio vive l'opera d'arte e rispettandolo riusciremo a preservare l'arte dalla superficialità di ogni indagine teorica.

GL - In alcune tue opere hai usato il neon rosso, è solo una questione cromatica o c'è dell'altro?


SB - La luce rossa prodotta dal gas neon apre secondo me alcune porte nel subconscio. Mi sono sempre sentito attratto da questa tonalità intensa e avvolgente che porta lo spettatore ad immergersi in un altro mondo. Nell'opera esposta al Museo Pecci di Prato ho inserito questa linea di luce rossa in una struttura stereometrica realizzata in metallo, come per riscaldare quel pensiero geometrico freddo e indifferente, con qualcosa di intimamente drammatico.  In questo modo attraverso la compresenza di due opposte sensibilità sono riuscito a dar vita all'opera. Di notte la parete del museo veniva illuminata dal neon rosso, e mentre all'interno tutto era buio fuori la mia opera si accendeva di luce propria. Nel "giardino segreto" di Spoleto invece, il neon trasformava la stanza e gli oggetti nel luogo del pensiero, il luogo ideale del progetto, dove si creano le immagini, un luogo intimo del quale spesso si ha paura e che solo i momenti di grande gioia o dolore riescono a svelare. Anche in sogno abbiamo la sensazione di essere immersi in una luce differente: mi sono sempre chiesto infatti, da dove provenga la luce che illumina i miei sogni.


(Testo pubblicato online, 2003)