Nicola Mariani

L’opera di Stefano Bonacci un cammino essenziale e coraggioso.



Stefano Bonacci (Perugia, Italia 1971) è un artista rispettosissimo del proprio tempo interiore, che da sempre guida il suo lavoro lungo una traiettoria costante e coraggiosa. La sua arte proviene da un luogo intimo e poetico da cui affiorano forme armoniche che esprimono le sue personali “visioni” di bellezza. Le opere di Bonacci, secondo le parole dello stesso artista, tentano di offrire allo spettatore «la possibilità di fare un’esperienza visiva diretta immediata, un’esperienza unica che si impone alla velocità della luce». Nelle sue opere, la libertà del gesto e la ragione rigorosamente ordinatrice tendono al massimo dell’equilibrio, anche quando stravolgono principi, regole e canoni. Si tratta di opere che connettono, in maniera spontanea e sintetica, il passato con il presente con il futuro; manifestando un controllo assoluto tanto delle esigenze intime delle emozioni quanto della tecnica. Dei materiali come dei diversi linguaggi plastici, della mano come del pensiero.


Nel Prologo del suo celebre libro Comprender el arte moderno la critica d’arte spagnola Victoria Combalía ha descritto la figura dell’artista nei seguenti termini: «Senza questi esseri che vivono in un altro pianeta, il nostro mondo sarebbe (…) invivibile. Semplicemente, perché sono essi – quelli autentici, non coloro che giocano a riprodurre piccole invenzioni superficiali nella loro forma o nel loro contenuto – a rappresentare ancora oggi una zona di libertà e di pensiero critico contro la clonazione perpetua di falsi ideali e di falsi standard. E poiché si tratta di esseri più sensibili del resto dei mortali, son soltanto ci aiutano a guardare il mondo da un’altra prospettiva, ma anticipano proposte che saranno comprese nel futuro».


Mi ricordai di queste parole non appena incominciai a leggere le risposte che Bonacci aveva dato alle mie domande e mi resi conto, immediatamente, che questo artista – oltre che di un grande talento – è dotato anche di una precisione e di una sensibilità fuori dal comune. In effetti, le sue parole, così come le sue opere, offrono una prospettiva differente, migliore, su quello stesso mondo nel quale ci troviamo a vivere. Nemmeno una delle sue parole è detta fuori luogo. E quando gli chiedo - direttamente e senza perifrasi - in cosa consista, per lui, un “fatto artistico” la sua risposta è chiara e diretta: «Ecco visto che sei a Madrid entra al museo del Prado e vai a vedere El triunfo de Baco di Velázquez. Quello è per me un fatto artistico». Una risposta coincisa, densa ed essenziale. Come le sue opere.


Stefano Bonacci è nato nella stessa regione – l’Umbria – in cui nacquero, in epoche molto diverse, Pietro Vannucci (Il Perugino) e Alberto Burri. Quest’ultimo, in particolare, rappresenta per Bonacci «un punto di riferimento importantissimo che definisce per me una misura di valore etico-artistico dalla quale non voglio prescindere». Dopo essersi diplomato in pittura presso l’Accademia di Belle Arte di Perugia, Bonacci ha realizzato diverse esperienze formative e professionali sia in Italia sia all’estero (soprattutto in Gran Bretagna). Dal 1999 al 2004 è stato professore di Tecnica Pittorica nella stessa Accademia di Perugia dove, a partire dal 2005, insegna Installazioni Multimediali. Tra le esperienze per lui più significative c’è senz’altro l’incontro con Allan Kaprow, il pioniere dell’happening, avvenuto a Como nel 1997. Bonacci ricorda con piacere una fondamentale lezione appresa da Kaprow: «la dimensione ludica e la rivoluzionaria idea di poter giocare con la vita, con il proprio corpo, con il proprio comportamento, con le proprie azioni e con qualsiasi materiale, persino con l’immondizia».


La combinazione di materiali nobili e materiali “differenti” rappresenta un aspetto centrale della poetica e della pratica artistica di Bonacci. Basti pensare all’uso che l’artista fa del neon, de la fotografia o del ready made; ma si pensi anche all’uso della gommalacca o del gesso in alcuni cicli pittorici realizzati tra il 2003 e il 2006, come i Batteri, le Nebulose, le Forme del tempo o gli Ori. In alcune di queste opere la gommalacca dona alla superficie dipinta un effetto di particolare lucentezza che tende a far risaltare le crepe e le imperfezioni del pigmento, ottenendo un peculiare risultato estetico. Si tratta di dipinti nei quali la materia ha un’importanza fondamentale e in cui la spontaneità del gesto si trova perfettamente controllata dal rigore compositivo, raggiungendo una purezza atemporale, in certe occasioni arricchita dall’uso di foglie d’oro o dal ricorso al supporto antico della tavola.


Se c’è una cosa che appare chiara immediatamente guardando le opere di Bonacci – siano i suoi dipinti, le sue sculture o le su installazioni site specific – è che in esse si trova perfettamente condensata, attraverso un eccellente dominio della tecnica che si unisce a una personalissima visione del mondo e dell’arte, l’eredità artistica della tradizione informale della seconda metà del secolo scorso. Basti pensare al riferimento esplicito che Bonacci fa al già citato Alberto Burri e alla sua poetica materica. Tuttavia - oltre a Burri, Kaprow, Beuys e, naturalmente, Duchamp - bisogna ricordare anche altri nomi fondamentali nel percorso formativo di Bonacci, come Sauro Cardinali, artista perugino attualmente professore di Pittura nell’Accademia di Belle Arti di Perugia e Remo Salvadori, artista toscano la cui idea di «continuo infinito presente» continua ad essere per Bonacci uno stimolo essenziale.


Il rapporto artistico che lega Bonacci alla sua terra e alla specificità del territorio in cui “affondano le sue radici” – un territorio con una storia ricchissima, una cultura complessa e una natura incantevole – è un rapporto ancestrale e fecondo, che arricchisce continuamente il suo immaginario e le sue personali “visioni” di bellezza. A proposito delle caratteristiche proprie di quel territorio, Bonacci usa, ancora una volta, parole dense e limpide che esaltano, in una prospettiva rigorosamente estetica, le peculiarità del suo genius loci: «Il territorio, con la sua storia e la sua cultura è forse oggi l’unico elemento capace di produrre differenze in un ambiente sempre più segnato dalla mimesi reciproca delle forme».


Nel 2008 [19 Giungo-14 Settembre] Bonacci partecipò a la XV Edizione della Esposizione Quadriennale di Roma con la opera ένα και πέντε [Uno e Cinque, 2008, neon, ferro, vetro cattedrale, cavi elettrici, cm. 442x446x46]. In quel contesto si sono potute ammirare le opere di alcuni degli artisti più significativi del panorama artistico italiano degli ultimi vent’anni. Nel catalogo dell’esposizione, Paola Bonani descrive Bonacci come un artista che «dà forma a un universo di immagini in cui vengono messi a confronto il rigore della geometria e la mutevolezza della natura, le forme regolari e quelle irregolari, i materiali artificiali e quelli naturali, nel tentativo continuo di svelare i criteri che ordinano la varietà del cosmo» (www.quadriennalediroma.org).


Riprendendo la citazione iniziale di Victoria Combalía si potrebbe affermare che la opera di Bonacci anticipa oggi delle proposte artistiche «fuori dal comune», dal momento che si tratta di un artista solido e autentico. Un artista che non ha paura di avventurarsi per le vie solitarie della creazione senza lasciarsi sedurre dalle mode, dal conformismo o dalla tentazione di facili scorciatoie. Un artista che rifugge sempre, con decisione, gli stereotipi, le classificazioni e le etichette. Che non sopporta «l’arte che si crede impegnata politicamente, l’arte che si definisce sociale, l’arte che fa spettacolo, l’arte che urla per farsi sentire, l’arte degli stilisti di moda e degli architetti e infine l’arte di prostituirsi e di masturbarsi, che oggi è molto di moda». Un artista il cui lavoro, essenziale e sincero, connette la totalità degli archetipi e dei miti della storia umana con i misteri della natura, suscitando emozioni eterne e ragionamenti circostanziati che inducono lo spettatore a sentirsi nella situazione paradossale di vivere, al tempo stesso, dentro e fuori dal proprio tempo. E, proprio per questo, dentro tutti i tempi possibili.


(Testo critico pubblicato sulla rivista online "Studi umbri", Perugia 2008)