Gufi come professori sono intenti a spiegare un progetto architettonico. E incontrano mondi virtuali e vortici ipnotici. Difficile dire chi, fra i due artisti, usi un linguaggio più vicino agli universi paralleli in cui viviamo...
Li accomuna il modo di lavorare, con declinazioni diverse ma equidistanti da risultati concettuali. Tanto Fortuna quanto Bonacci vogliono restare al di qua della produzione del significato. È piuttosto il significante, l’oggetto in sé che è chiamato a comunicare direttamente e con una semplicità quasi ipnotica.
Per Pietro Fortuna (Padova, 1950; vive a Roma) la creazione diventa “atteggiamento umile”, come dice egli stesso, con cui produrre oggetti che vivono nella “gloria dell’inessenziale”. L’arte dev’essere improduttiva e l’opera parlare da sola. Da qui la sospensione del tempo attraverso l’assenza di profondità. Spinte sull’orlo di uno sfondo piatto, l’artista vuole “consegnare le parole alle cose”. Fortuna si può così definire “artista classico”, in quanto nel contingente trova modelli assoluti, senza tuttavia astrarli dalla fisicità.
La ricerca di Stefano Bonacci (Perugia, 1971) può dirsi altrettanto classica, perché i suoi risultati evocano, in senso assoluto, il moto armonico della vita. L’indagine dei rapporti fra geometria e natura si contamina con l’insegnamento di Arti multimediali all’Accademia di Perugia e la realtà virtuale suggerisce altre forme (di vita) possibili.
Fortuna usa un linguaggio debitore della filosofia e della preghiera: pensiero e ritualità producono oggetti nei quali il processo mentale creativo svanisce nel momento in cui una sintesi si attua nell’opera. Nei lavori esposti, Bonacci parte invece dall’oggetto come per scomporlo in un’analisi al microscopio, alla ricerca di formule matematiche.
Per queste affinità che accomunano due espressioni diametralmente opposte, la Galleria Cardelli & Fontana presenta insieme il lavoro di questi artisti, distanti sia per età che per poetica. Dialogo #1 è infatti il titolo della mostra, che ha inaugurato la nuova stagione della galleria ligure e che corona la VI edizione del Festival della Mente di Sarzana.
Per la prima volta la galleria presenta una mostra strutturata come un dialogo, in cui l’interazione non è mai fusione. Si tratta di una doppia personale ospitata in due ambienti differenti della galleria, ove i linguaggi si confrontano, ma solo attraverso la libera interpretazione di chi li ascolta.
Il discorso tra Fortuna e Bonacci è fatto di forti contrasti. Il primo colpisce per la comunicazione esclusivamente empatica: non si può comprendere se non sentendosi inspiegabilmente appagati, come davanti a qualcosa di familiare. Così per l’opera del secondo, che scompone e indaga la vita nei gradi minimi e ce la mostra semplice e complessa, come la struttura di una molecola.
Nessuno dei due rinuncia a lasciare totale libertà al rapporto tra oggetti e persone. Convinti che l’artista sia solo un tramite con cui far parlare le cose.